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Immagine del redattoreCarlo Trionfi

Dalla teoria alle neuroscienze: l'evoluzione del concetto di creatività

William James nel 1890 ha proposto una delle prime definizioni di creatività, definendola come “una transizione da un’idea a un’altra, una inedita combinazione di elementi, una acuta capacità associativa e analogica”. Secondo questa definizione la creatività è un processo tramite il quale è possibile uscire dagli schemi del pensiero normale, che permette la generazione di nuovi punti di vista per associazione analogica.

Nel corso degli anni le definizioni di creatività sono diventate molteplici fino agli inizi del 1900 in cui venne studiato e indagato da un punto di vista scientifico ampliando di gran lunga la letteratura sull’argomento. La complessità che ruota intorno al concetto della creatività è evidente, infatti ripercorrendo la storia degli studi in materia, è possibile assistere ad una variazione notevole di tale costrutto.

Ad oggi la maggior parte dei ricercatori, concordano con una stessa definizione della creatività, ovvero quella proposta da Stein nei primi anni 50 del ‘900, secondo la quale “La creatività richiede sia l’originalità che l’utilità” e riguarda proprio la produzione di un qualcosa di nuovo e di utile. Nello stesso periodo Guilford ha identificato gli aspetti che contraddistinguono il pensiero creativo. Questi aspetti sono:

-          la fluidità, ovvero la capacità di produrre abbondanti idee;

-          la flessibilità, quindi la capacità di passare da una successione di idee a un’altra;

-         l’originalità, che consiste nella capacità di trovare risposte uniche, particolari e insolite;

-          l’elaborazione, ovvero il percorrere una strada ideativa in maniera sensata tra di loro;

-          la sensibilità ai problemi, vale a dire il selezionare idee e organizzarle in forme nuove, capire cosa non va e cosa può essere perfezionato.

L’atto creativo si compone di due fasi, una generativa e una esplorativa. Durante il processo generativo (o pensiero divergente), la mente creativa immagina una serie di nuovi modelli mentali, nella fase esplorativa (o pensiero convergente), vengono valutate le diverse opzioni e poi viene selezionata quella migliore. L'ipotesi di un processo creativo a due fasi trova conferma nella ricerca cognitiva, che evidenzia l'esistenza di due modalità di pensiero complementari: l'una associativa, l'altra analitica.

Nonostante tutte le attività svolte nel campo delle neuroscienze cognitive, i ricercatori concordano sul fatto che non esiste un quadro coerente e unitario che riguarda le basi neuroanatomiche della creatività. La dicotomia emisferica destro-sinistro, un tempo considerata chiave per comprendere la creatività, è stata superata da modelli più sofisticati che sottolineano l'importanza delle connessioni neurali e delle reti cerebrali. Infatti studi che hanno utilizzato l’EEG hanno messo in discussione la tradizionale associazione tra creatività ed emisfero destro, rivelando un quadro più complesso e distribuito dell'attività cerebrale durante compiti creativi. Le ricerche più recenti indicano che la creatività non è legata esclusivamente a un'area cerebrale specifica, ma coinvolge una rete complessa di regioni cerebrali che si attivano in modo dinamico a seconda della natura del compito.

Altri studi neuroanatomici funzionali, realizzati utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fMRI) o la  PET hanno riportato un coinvolgimento maggiore della corteccia prefrontale come substrato neuroanatomico critico per il pensiero divergente (Folley, Park, 2005; Dietrich, Kanso, 2010). Ciò che appare meno chiaro è quali siano le aree specifiche della corteccia prefrontale che si attivano in risposta a compiti creativi.  Ad esempio, per quanto riguarda la corteccia prefrontale ventro-laterale Goel e Vartanian nel 2005 riportano un’attivazione unilaterale a destra, mentre Chavez-Eakle e collaboratori in una ricerca del 2007 evidenziano un’attivazione prevalente del lato sinistro.

Per quanto riguarda il giro frontale e il polo frontale, alcuni studi hanno riportato un aumento dell’attività nell’emisfero sinistro (Chavez- Eakle et al., 2007; Goel e Vartanian, 2005; Hansen et al., 2008; Howard-Jones et al., 2005). Ci sono anche ricerche che riferiscono un’ attivazione della corteccia cingolata anteriore sinistra (Howard-Jones et al., 2005), dell’area prefrontale dorso-laterale sinistra, e dell’area motoria supplementare (Fink, Grabner et al., 2009).

Infine, un numero di altre strutture cerebrali, sia corticali che sottocorticali pare svolgano un ruolo nel pensiero divergente come ad esempio aree visive, il talamo , l’ippocampo, il giro cingolato anteriore, il cervelletto e il corpo calloso. Tuttavia, tali risultati sono dispersivi e pare non siano supportati dalla stragrande maggioranza degli studi.

Si può quindi concludere che il pensiero divergente non rappresenta una modalità diversa o separata di pensare, non esiste quindi una sede cerebrale dedicata, ma piuttosto da un'attivazione dinamica e diffusa di diverse regioni.



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