La Teoria dell’Attaccamento, formulata da John Bowlby, esplora le relazioni affettive tra bambino e caregiver, con particolare riguardo a come esse influenzano lo sviluppo emotivo e sociale. Quello dell’attaccamento è un sistema motivazionale che si sviluppa sin dalle prime interazioni che il neonato instaura con chi si prende cura di lui, configurandosi come un sistema necessario per la sopravvivenza del bambino stesso: attraverso le prime interazioni tra madre e bambino, composte da contatto fisico, scambi di sguardi, nutrizione, gioco e consolazione, si assiste alla creazione di una base più o meno sicura, a partire della quale il bambino può esplorare l'ambiente circostante con maggiore o minore conforto e sicurezza. Il modello di attaccamento ricopre un ruolo fondamentale nella vita dell’individuo: non solo condiziona le esperienze infantili, ma ha anche un impatto duraturo su come gli individui si relazionano con gli altri nel corso della vita. Ma cosa succede a livello neurobiologico? Quali circuiti supportano il legame di attaccamento?
Nella formazione del legame tra bambino e caregivers sono innanzitutto coinvolti due neurotrasmettitori: l’ossitocina e la vasopressina. I loro livelli sembrano essere maggiori durante le esperienze sensoriali piacevoli di natura sociale, come le carezze e gli odori; ove, invece, si riscontrano mancanze di cure materne, il loro sviluppo nei bambini piccoli appare essere compromesso (Carter, 2003). I comportamenti genitoriali sono però modulati anche da altri due neurotrasmettitori: la dopamina e la serotonina, che giocano un ruolo fondamentale nel promuovere e mantenere i comportamenti materni.
Durante le esperienze di attaccamento, inoltre, si attivano diverse aree neurali: Lorberbaum (2002) ha riscontrato, in corrispondenza di un’attivazione materna al pianto del bambino, un’attivazione significativa nella corteccia cingolata, nei nuclei talamici, nell’amigdala e nella corteccia orbitofrontale destra, che è cruciale per l’esperienza emozionale positiva. Bartles e Zeki (2004), sottoponendo alle madri delle fotografie dei propri figli, hanno invece osservato una particolare attività nel putamen, nei nuclei caudati e nel globo pallido, aree deputate alla ricompensa. Il contribuito dei circuiti della ricompensa nell’attaccamento, in generale, è stato molto sottolineato; è oramai opinione condivisa che l’attaccamento madre-bambino si fondi sulla co-attivazione di due distinti network cerebrali: il circuito dopaminergico mesolimbico della ricompensa (reward system), che trasporta la dopamina dall’area tegmentale ventrale (VTA) del mesencefalo al nucleus accumbens e alla corteccia prefrontale, e il sistema della paura/ansia, dove il nucleo accumbens e l’amigdala ricoprono un ruolo chiave supportando i comportamenti materni di attaccamento (Del Giudice e Crisanti, 2013). L’attivazione delle regioni cerebrali relative al reward, inoltre, è risultata inibire aree a supporto delle attività di mentalizzazione e di valutazione, nonché del senso critico e della difesa verso l’estraneo, come la corteccia mediale frontale, le giunzioni temporo-parietali e i poli temporali.
Nel corso del tempo vi sono poi stati studi, come quello di Buchaim e collaboratori (2006), che si sono concentrati sui correlati neurali dei diversi stili di attaccamento. Gli studiosi, in particolare, hanno chiesto a diverse donne di compilare la Adult Attachment Projective (AAP); tale strumento ha permesso di rilevare il loro stile di attaccamento, nonché di analizzare e confrontare i circuiti neurali attivi durante lo svolgimento del test, in corrispondenza di diverse tipologie di attaccamento. Coloro che avevano sperimentato un attaccamento disorganizzato mostravano una maggiore attivazione nella corteccia frontale inferiore di destra e delle regioni temporali mediali (incluse amigdala e ippocampo): si può ipotizzare che, durante la somministrazione dell’AAP, i soggetti fossero indotti a richiamare in memoria molti eventi negativi riguardanti la propria esperienza di attaccamento, carichi emotivamente.
È necessario sottolineare, infine, che le esperienze di attaccamento sono influenzate e plasmate anche dalle varianti genetiche, che possono spiegare la variabilità individuale nei comportamenti sociali e nel temperamento umano. Comprendere gli aspetti neurobiologici dell’attaccamento non solo arricchisce la nostra conoscenza scientifica, ma offre anche nuove prospettive per affrontare le difficoltà relazionali e promuovere legami più sani. Le ricerche future promettono di approfondire ulteriormente questi aspetti, evidenziando l'importanza di un attaccamento sicuro per lo sviluppo umano e per il rafforzamento delle nostre connessioni sociali.
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